Il Fascismo di fronte ai problemi della razza

  • «Gazzetta del Popolo», 15 luglio 1938

Roma, 14 luglio, notte.

Un gruppo di studiosi fascisti docenti delle Università italiane e sotto l’egida del Ministero della Cultura Popolare ha fissato nei seguenti termini quella che è la posizione del Fascismo nei confronti del problema della razza.

1. Le razze umane esistono.
La esistenza delle razze umane non è già un’astrazione del nostro spirito, ma risponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da masse quasi sempre imponenti, di milioni di uomini, simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano ad ereditarsi. Dire che esistono le razze umane non vuol dire a priori che esistono razze umane superiori e inferiori, ma soltanto che esistono razze umane differenti.

2. Esistono grandi razze e piccole razze.
Non bisogna soltanto ammettere che esistono i gruppi sistematici maggiori, che comunemente sono chiamati razze e che sono individualizzati solo da alcuni caratteri, ma bisogna anche ammettere che esistono gruppi sistematici minori (zone, per esempio, di nordici, di mediterranei, di dinarici…), individualizzati da un maggior numero di caratteri comuni. Questi gruppi costituiscono dal punto di vista biologico le vere razze, la esistenza delle quali è una verità evidente.

3. Il concetto di razza è concetto puramente biologico.
Esso quindi è basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche, religiose.
Però alla base delle differenze di popolo e di nazione stanno delle differenze di razza. Se gli italiani sono differenti dai francesi, dai tedeschi, dai turchi, dai greci, ecc., non è solo perché essi hanno una lingua diversa e una storia diversa, ma perché la costituzione razziale di questi popoli è diversa. Vi sono state proporzioni diverse di razze differenti che da tempo molto antico costituiscono i diversi popoli, sia che una razza abbia il dominio assoluto sulle altre, sia che tutte risultino fuse armonicamente, sia infine che persistano ancora inassimilate una alle altre le diverse razze.


4. La popolazione dell’Italia attuale è di origine ariana e la sua civiltà è ariana.

Questa popolazione a civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra Penisola: ben poco è rimasto delle civiltà delle genti pre-ariane. L’origine degli italiani attuali parte essenzialmente da elementi di quelle stesse razze che costituirono il tessuto perennemente vivo dell’Europa.

5. È una leggenda l’apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici.
Dopo l’invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli, capaci di influenzare la fisionomia razzista della Nazione. Da ciò deriva che, mentre per altre nazioni europee la composizione razziale è variata notevolmente in tempi anche moderni, per l’Italia, nelle sue grandi linee, la composizione razziale di oggi è la stessa di quella che era mille anni fa: 44 milioni di italiani di oggi rimontano quindi nell’assoluta maggioranza a famiglie che abitano l’Italia da almeno un millennio.

6. Esiste ormai una pura razza italiana.
Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico linguistico di popolo o nazione, ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l’Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana.

7. È tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti.
Tutta l’opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere italiana e l’indirizzo ariano-nordico. Questo non vuol dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono, o affermare che gli italiani e gli scandinavi sono la stessa cosa, ma vuole soltanto additare agli italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extraeuropee; questo vuol dire elevare l’italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità.

8. È necessario fare una netta distinzione fra i mediterranei d’Europa (occidentali) da una parte, gli orientali e gli africani dall’altra.
Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l’origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche, stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili.

9. Gli ebrei non appartengono alla razza italiana.
Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l’occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all’infuori dei ricordi di qualche nome e del resto il processo di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia, perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli italiani.

10. I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani non debbono essere alterati in alcun modo.
L’unione è ammissibile solo nell’ambito delle razze europee, nel qual caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un ceppo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. Il carattere puramente europeo degli italiani viene alterato dall’incrocio di qualsiasi razza extraeuropea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani.

Percorsi di lettura

Questo documento appartiene a una tipologia differente rispetto agli altri documenti contenuti nel fascicolo: si tratta infatti della prima pagina di un quotidiano legato, ovviamente, al Partito Fascista. Proprio attraverso la stampa asservita al regime, il fascismo rendeva nota alla popolazione italiana la sua politica razziale, seguendo attente strategie di comunicazione.

  • Nell’articolo centrale della «Gazzetta del Popolo», chi è chiamato a dimostrare la legittimità e la fondatezza concettuale della politica razziale del fascismo? Quale strategia si può intuire dietro a questa scelta?

  • Leggi sul sito di UCIIM Torino l’articolo La campagna antisemita in Italia e rileva le caratteristiche della «Gazzetta del Popolo» nell’epoca fascista.

  • Analizza la struttura dell’articolo Il Fascismo di fronte ai problemi dalla razza e leggine la trascrizione. Rispondi poi ai quesiti che seguono:

    • Nell’incipit dell’articolo, quale rapporto viene stabilito tra “gli studiosi fascisti docenti delle Università italiane” e il Ministero della Cultura Popolare?
    • Quale specificità razziale è attribuita agli ebrei?
    • Cerca su un’enciclopedia o su internet il significato dell’aggettivo “ariano” e indica il particolare uso di questo aggettivo nella politica razziale del fascismo.
    • Soffermati sul punto 7 e spiega il senso del suo titolo.
    • Sempre nel punto 7 si parla del rapporto tra la concezione della razza in Italia e le teorie del razzismo tedesco. Che cosa viene detto?
    • Nel punto 10 si fa una distinzione tra razze europee e razze extraeuropee. Quale differenza viene evidenziata?

Confronta

Si riporta la trascrizione dell’articolo Gli ebrei nella nostra città contenuto nella pagina di Cronaca della città della «Gazzetta del Popolo».

  • Leggi la trascrizione dell’articolo e costruisci un prospetto numerico delle cifre fornite circa la presenza degli ebrei a Torino in rapporto alle professioni da loro esercitate.

Gli ebrei nella nostra città

Sono il 7,14 per mille dell’intera popolazione ma occupano posti rilevanti nelle professioni, nei commerci e nelle industrie. Raffronti statistici.

È in corso d’accertamento a Torino, come in tutte le città d’Italia, un censimento della popolazione ebraica, che darà modo di conoscere con esattezza il numero degli israeliti residenti nella nostra città e la loro ripartizione secondo le attività che essi svolgono.

Pertanto non ci si può per ora attenere che a delle statistiche approssimative, le quali però già sono sufficienti a fornire qualche orientamento in proposito dimostrando come gli israeliti, soprattutto nelle categorie professionali, dell’industria, della banca e del commercio occupano un’influenza di troppo superiore a quella che potrebbe essere equamente riconosciuta in base al loro numero.

Secondo statistiche di fonte ebraica, fino a qualche anno fa gli israeliti torinesi non arrivavano ai 4000. Ma in questi ultimi tempi si calcola che ci sia stata un’immigrazione di qualche centinaia di profughi da altri paesi, e con qualche abbondanza si può quindi fissare a 4500 i componenti attualmente la comunità israelitica torinese. La decima parte cioè della popolazione ebraica esistente in tutta Italia e il 7,14 per mille in rapporto ai 630.000 abitanti di Torino.

Ora vediamo da uno spoglio sommario di albi professionali e di categorie in quale proporzione gli ebrei figurano di fronte al resto della popolazione.
È noto che uno dei campi in cui essi sono in grande preponderanza è quello bancario e borsistico. Ci sono nella nostra città 4 banche esclusivamente ebraiche, ma la maggior parte degli Istituti bancari sono costituiti in grandi società anonime, in cui molti sono gli ebrei che hanno funzioni direttive. Tra 41 agenti di cambio 12 sono ebrei, il che è notevolmente più del 7,14 per mille e trascuriamo i commissionari di borsa e i cambiavalute.
Se passiamo alle categorie commerciali, le cifre hanno un’identica eloquenza. Notiamo 3 commercianti e grossisti di drapperie su 22, 7 gioiellieri su 60, 3 su 27 fabbricanti di velluti e seterie.

Il lato più scottante dell’influenza esercitata dall’elemento ebraico è però quello che si riferisce alla professioni intellettuali.

Nell’insegnamento universitario l’invadenza israelitica è piuttosto eccessiva. Per esempio: nelle Facoltà di giurisprudenza, di economia e commercio, di lettere, di medicina, di magistero, di matematica, e al Politecnico, si contano fra ordinari e docenti, complessivamente 44 professori.

Anche nell’insegnamento secondario la proporzione degli educatori israeliti è alta, e in un solo istituto medio ne figurano sei. Considerevole del pari è il numero degli iscritti negli albi delle professioni liberali. Su 750 avvocati iscritti, una quarantina sono ebrei.

I dottori in scienze economiche e commerciali sono circa 300 con 26 ebrei. Su circa 160 amministratori giudiziari – funzione molto ambita da avvocati e ragionieri – più che una decina sono ebrei. I medici iscritti all’albo sono 1100, fra i quali circa 70 ebrei. Su oltre un migliaio d’iscritti al Sindacato ingegneri, gli ebrei sono 35. Insignificante è invece il numero degli ebrei farmacisti, più numerosi i chimici.

Nel campo impiegatizio (uffici pubblici, imprese pubbliche e private), soprattutto nella contabilità delle aziende industriali, di quelle aziende che sono dirette o controllate da capitale ebraico, è pure forte la rappresentanza degli israeliti. Dove essi invece sono assenti quasi del tutto è nel campo operaio.

Naturalmente, all’eloquenza di queste cifre gli ebrei risponderanno che non hanno colpa se l’intelligenza della loro razza li mette al comando dei migliori posti, ma è facile la messa a punto: essi noi avrebbero mai conquistato tali posizioni se, di fronte a una minoranza formidabilmente organizzata, i governi del passato avessero vigilato e meglio tutelati gli interessi dell’enorme maggioranza della popolazione e i sacri diritti della razza italiana.